Lo scoppio del primo conflitto mondiale vede una prima, incerta avanzata oltre il confine da parte della cavalleria. Ma la guerra di posizione che nel giro di breve tempo si determina per opera delle difese austriache e, soprattutto, del micidiale trinomio trincea – reticolato – mitragliatrice, riduce enormemente le possibilità operative del cavallo.
Ma l’arma non può e non vuole rimanere inoperosa. Per tale motivo si rende necessario il durissimo sacrificio, anche psicologico, dell’appiedamento e la rinuncia al primo, fedelissimo, compagno di combattimento: il cavallo. Varie unità (divisioni, brigate e reggimenti) vengono così impiegate nelle trincee, insieme o in sostituzione della provata fanteria, dopo aver ricevuto un breve periodo di addestramento specifico. Su tremila ufficiali di cavalleria 800. e su 24.000 soldati di cavalleria 13.000 transitano in altre armi e specialità scendendo come suol dirsi da cavallo.
Questa è un’espressione ironica e curiosa che vuole avere il significato riduttivo di abbassare il tono, calare le arie o le borie. Ebbene la cavalleria è più volte discesa da cavallo, quando glielo ha imposto il destino, per combattere a piedi o su altri mezzi. Efficacissima si dimostra poi la funzione svolta nella giovane aeronautica, grazie a piloti estremamente validi, tra cui primeggia la figura di Francesco Baracca, il cavaliere alato, che abbatte ben trentaquattro velivoli avversari. Senza dimenticare Folco Ruffo di Calabria, Gabriele D’Annunzio, Camillo De Carlo, pure essi medaglie d’oro.
Vengono costituite, con quadri e truppa di cavalleria. oltre trenta compagnie mitraglieri e numerose unità bombardieri. Anche appiedati i cavalieri hanno modo di segnalarsi in vari episodi ed in varie zone: non si può dimenticare la conquista di quota 144 del Carso da parte di “Genova”, o le strenue lotte di “Nizza”, “Vercelli”, “Guide” e “Treviso” nella zona di Monfalcone. Ma anche in queste circostanze la guida spirituale rimane invariata, come significativamente sottolinea uno dei più incisivi motti: “Soit à pied soit à cheval, mon honneur est sans égal”. Laddove se ne presenti la possibilità e la convenienza operativa, la cavalleria torna al suo naturale impiego ed infatti, nell’agosto del 1916, sale nuovamente in sella per liberare Gorizia ed inseguire il nemico in rotta.
All’azione partecipano sedici squadroni, tra cui l’intero reggimento “Udine”. Si rinnovano quindi le antiche cariche, anche se oramai le difficoltà sono oggettivamente enormi: in una celebre stampa sono rappresentati il cavallo ed il cavaliere fermati dai reticolati nemici e dall’incessante crepitare delle loro mitragliatrici, eternando in tal modo “la raffigurazione ignota e gloriosa del limite umanamente insuperabile dall’azione di un’Arma”.
Nel 1917 la cavalleria è rimessa tutta a cavallo, a copertura e protezione delle forze che ripiegano sul Piave dopo la sconfitta di Caporetto. Il suo compito è in sostanza quello di evitare che le preponderanti forze avversarie dilaghino nella pianura senza trovare ostacoli di sorta alla loro avanzata. La protezione del ripiegamento, è un compito nel quale bisogna avere il coraggio di sacrificarsi mettendosi in mezzo tra l’amico che ripiega e il nemico che avanza.
Compito non facile per il quale necessita un’autodisciplina che si impone sull’istinto di conservazione e questo carattere si forma nei cavalieri che imparano a dominare se stessi per dominare il generoso ma inquieto, ombroso destriero, dotato di una precisa volontà che deve essere indirizzata nel senso voluto dal cavaliere.
Ma nel dramma che segue Caporetto non c’è il tempo materiale per riorganizzare altre forze efficienti ed alla cavalleria viene richiesto di far appello alle sue risorse ed alla sua capacità di sacrificio. “Aosta”, “Mantova”, “Firenze”, “Saluzzo” e “Umberto” nel Friuli, “Alessandria” e “Caserta” in Carnia, la l° e la 2° Divisione di Cavalleria al completo agiscono a protezione rispettivamente della ritirata della 3° e della 2° Armata. Una prima valida resistenza è opposta davanti al Tagliamento, all’altezza di Codroipo dalla I Brigata di Cavalleria, reggimenti “Monferrato” e “Roma”, ma l’episodio sicuramente più importante, anche per i risultati operativi che da esso scaturiscono, è quello di Pozzuolo del Friuli, nel quale si distingue la II Brigata, formata dai reggimenti “Genova” e “Novara”. Lo scontro avviene dal 29 al 30 ottobre; la Il Brigata, asserragliata in Pozzuolo del Friuli, le cui costruzioni costituiscono gli unici punti tattici in una zona tutta pianeggiante, si difende a lungo dagli assalti ripetuti dalle unità austro-germaniche. Sono effettuate anche alcune cariche che riescono a respingere il nemico, sempre sul punto di penetrare nelle postazioni difensive, improvvisate nel paese. E’ una resistenza difficilissima, a causa dell’enorme sproporzione tra le forze della brigata e quelle dell’avversario che continuamente rinnova le sue avanguardie ed aggiunge unità fresche: ma si resiste, pur con perdite gravissime, fino alla sera del 30 ottobre.
A questo punto il compito è assolto, dal momento che la 3° Armata è riuscita a passare il Tagliamento.
Il problema diviene ora quello di salvare i superstiti, cercando di rompere l’accerchiamento che è ormai completo per opera di almeno sette battaglioni nemici, appoggiati da numerose mitragliatrici e artiglierie. Nel tentativo di aprirsi un varco e sciabolate per ricongiungersi alle truppe amiche in direzione del Tagliamento, la lotta si fraziona in numerosi episodi e con fortune alterne.
Quando, alla fine dello scontro, la II Brigata rientra nelle posizioni italiane, delle quasi mille lance che il mattino del 29 si sono opposte al nemico, ne restano meno di cinquecento. Agli Stendardi dei due reggimenti viene conferita la medaglia d’argento al valor militare: forse quella d’oro non avrebbe sfigurato, ma non viene concessa probabilmente per non rimarcare la differenza con coloro che negli stessi frangenti hanno tenuto ben diverso comportamento.
Persino i bollettini avversari sono costretti ad ammettere, parlando della resistenza della II Brigata di Cavalleria, che si è trattato di un fatto che comporta “conseguenze incalcolabili”. Nell’azione si segnalano in particolare del reggimento “Genova” il tenente Carlo Castelnuovo delle Lanze, ferito mortalmente mentre, con la sua sezione mitragliatrici, difende ad oltranza un importante sbarramento: il capitano Ettore Laiolo, caduto nell’azione di ripiegamento alla testa del suo 4° squadrone. l’ultimo a ripiegare: il sergente Elia Rossi Passavanti , gravemente ferito nel tentativo di salvare il suo colonnello: ai tre viene assegnata la medaglia d’oro. Di “Novara” sono da ricordare le efficaci, ripetute cariche del 4° squadrone condotte dal capitano Giannino Sezanne, che ristabiliscono la situazione, sia pure momentaneamente a causa dell’afflusso di successive unità nemiche. Ma Pozzuolo del Friuli non è soltanto un episodio della tragedia di Caporetto. Le mille lance della II Brigata di Cavalleria sono andate incontro al nemico e lo hanno fermato. E la voce corre per le interminabili colonne di truppe annichilite in ripiegamento: “la cavalleria resiste”.
E le teste e le spalle si raddrizzano, gli sguardi si infiammano, le volontà si induriscono.
A Pozzuolo della Cavalleria è nato lo spirito che, dieci giorni dopo, arresta definitivamente il nemico sul Piave. È un episodio tanto importante, di rinomanza tale da venire scelto, anni dopo, quale festa di tutta l’Arma di Cavalleria. Tra il Tagliamento e il Piave il Comando Truppe Mobili, costituito appositamente e formato essenzialmente da tre divisioni di cavalleria rinforzate, rallenta la progressione nemica, segnalandosi in numerose azioni tipiche dell’Arma: “Firenze” a Portobuffolé, “Saluzzo” alla Livenza, “Aosta” a Fagagna. Anche “Piemonte Reale” sulla cimosa costiera opera con lo stesso scopo e si verifica l’episodio della morte in combattimento del colonnello comandante Francesco Rossi a Madonna di Campagna (Treviso). Anche nell’intervento in Albania in soccorso all’esercito serbo, la cavalleria svolge operazioni ad essa usuali: dalle ricognizioni all’appiedamento nelle trincee, dalla funzione di scorta alle cariche di alleggerimento, al servizio di sorveglianza. Del contingente italiano fanno parte in periodi diversi “Lodi”, “Catania”, “Palermo”, “Umberto I”, “Lucca” e, con valore particolare, i “Cavalleggeri di Sardegna”. In un eccezionale raid sono compiuti più di 1.000 chilometri attraversando l’intera Albania per inseguire il nemico in fuga.
Tra la fine del 1917 e l’inizio del 1918, la cavalleria viene rinforzata irrobustendone i reparti: si costituisce una 2° divisione provvisoria, in attesa che si ricomponga quella iniziale: gli squadroni vengono portati da quattro a cinque per reggimento, oltre ad uno squadrone mitraglieri. In tal modo essa può ancora venire impiegata sulla linea del Piave, dove, peraltro. molti dei suoi elementi hanno continuato a prodigarsi, nell’estate del 1918. Nelle azioni difensive si mettono in particolare evidenza “Milano” e “Vittorio” a Monastier di Treviso, “Firenze” a Giavera del Montello e “Caserta” anch’esso sul Montello. Ma è nella ripresa inarrestabile, ossia nell’inseguimento, che segue alla riscossa di Vittorio Veneto che la cavalleria, tornando a lanciarsi contro il nemico che arretra, dimostra le sue insostituibili capacità. Fino all’armistizio si assiste, quindi, a tutta una serie di episodi nei quali l’arma riesce ripetutamente a smantellare e superare le resistenze austriache.
L’ordine è di procedere, il più rapidamente possibile, in profondità aggirando, scavalcando e, ove necessario, ricacciando ulteriori, sporadiche resistenze, per consacrare anche con la conquista materiale, i nuovi confini che l’Italia si attende. E la cavalleria lo esegue puntualmente. “Firenze” entra, per primo a Vittorio Veneto “Genova” e “Novara” al ponte di Fiaschetti sulla Livenza, “Alessandria” a Trento, “Guide” a Sacile, “Savoia” ad Udine, “Aosta” e “Mantova” a Latisana, “Saluzzo” in uno scontro a Tauriano riesce a distruggere le batterie nemiche. In questo modo la Gazzetta del Popolo, nella sua edizione straordinaria del 3 novembre 1918 può titolare a tutta pagina: “Udine liberata dalla cavalleria italiana”. Chiude le sette giornate di epica cavalcata dei 136 squadroni sulle orme di un intero esercito in rotta l’episodio emblematico di Paradiso (Udine), dei “Cavalleggeri di Aquila” .
Pochi minuti prima che l’armistizio diventi operativo, quando cioè in pratica la guerra si può considerare finita, sarebbe facile trovare un accomodamento in attesa che scocchi l’ora decisiva della pace, ma si decide, invece, con un atto di assoluta fermezza, di caricare le postazioni dei mitraglieri austriaci che sbarrano il passo per liberare qualche palmo di terreno in più. In seguito a questi fatti più noti e ad altri di portata minore, forse anche dimenticati, ma non certo di minor vigore, nel bollettino della vittoria del 4 novembre 1918 il generale Diaz può, tra l’altro, proclamare: “… l’irresistibile slancio … delle divisioni di cavalleria, ricaccia sempre più indietro il nemico fuggente …”.
Agli Stendardi dei reggimenti sono assegnate per le azioni compiute nella prima guerra mondiale: 8 medaglie d’argento e 10 di bronzo al V.M.
Sono decorati di medaglia d’argento: “Genova Cavalleria” (due), “Lancieri di Novara”, “Cavalleggeri di Saluzzo”, “Cavalleggeri di Catania”, “Lancieri di Vercelli”, “Cavalleggeri di Treviso”, “Cavalleggeri di Sardegna”. Sono decorati di medaglia di bronzo: “Nizza Cavalleria”, “Savoia Cavalleria”, “Lancieri di Aosta”, “Lancieri di Milano”, “Lancieri di Firenze”, “Lancieri di Vittorio Emanuele”, “Cavalleggeri Guide”, “Lancieri di Mantova”, “Cavalleggeri di Udine”, “Cavalleggeri di Palermo”. L’unificazione degli italiani è raggiunta, anche per merito della cavalleria. All’Arma di Cavalleria viene decretata la medaglia d’oro.